lunedì 27 febbraio 2012

In anteprima la premessa di "Storie di Doping"

La nostra pubblicazione non ha natura commerciale, e presto ne pubblicheremo qui ampi stralci, storie, racconti esemplari. Ma mentre "lavoriamo duro" per limare le bozze, condividiamo qui sotto la premessa che accompagna il libro "Storie di Doping", una raccolta di storie vere, confidate al Telefono Pulito, e che valeva la pena divulgare.



Premessa
  
I sei racconti che costituiscono il cuore di questo libro sono altrettante storie vere. I nomi, i luoghi e alcune circostanze particolari degli eventi sono stati modificati per conservare una certa distanza e un certo rispetto nei confronti delle vite private dei protagonisti, ma il resto corrisponde alla realtà di alcune telefonate ricevute dal Telefono Pulito (numero verde 800.170.001) della Regione Emilia Romagna, un servizio attivo dal 18 marzo 2002 che nei suoi primi dieci anni di attività ha ricevuto più di seimila richieste di consulenza da parte di persone con problemi di doping. Per ricondurre le storie personali alla loro dura oggettività sanitaria, ogni racconto è seguito da una scheda medica che analizza le sostanze citate, i loro effetti a breve e lungo termine e le conseguenze sul paziente protagonista.
Sono tutte storie di gente normale che più normale non si può, che non vive lo sport a tempo pieno e che nella vita fa altro: un giocatore di scacchi, un golfista della domenica, un ex obeso che si è fatto venire la mania della forma fisica impeccabile… Per questo, nel loro piccolo queste vicende dimostrano che il doping oggi è diventato qualcosa di più sfuggente e inquietante di quello che pensiamo di solito. Queste testimonianze dirette, che sono il frutto della paura e della preoccupazione personale che ha spinto molte persone a rivolgersi al servizio sanitario per tutelare se stesse, chiariscono che il mondo del doping, con tutti i suoi pericoli, non è qualcosa che si trova lontano dalla nostra realtà quotidiana, apparentemente separata dal mondo esasperato degli sportivi professionisti, ma qualcosa di vicino, una rete di valori corrotti e di consuetudini nocive che si può incontrare dietro l’angolo di qualsiasi strato sociale italiano. I micro-drammi privati narrati dai protagonisti di ogni storia testimoniano che l’uso deviato di terapie farmacologiche o l’assunzione di sostanze stupefacenti per trasformare il proprio corpo potrebbe riguardare chiunque. Qui siamo fuori dallo sport agonistico. Nessuna di queste persone racconta un’esperienza di vittoria rubata. Nessuno di loro mirava a salire sul gradino più alto del podio al posto di chi se lo meritava davvero. Il loro uso di prodotti dopanti nasce dallo sfogo di tensioni più intime, da errori di valutazione o dalla necessità di costruirsi un’identità in modo sbagliato e rovinoso.
Se non c’è una gara da vincere, se non c’è un profitto economico, quali strade possono condurre qualcuno al doping? Queste storie non rispondo a questa domanda ma la pongono con forza ancora maggiore e precisano oggettivamente che doparsi vuol dire spingere la propria salute oltre la soglia del rischio, contribuendo inoltre a rovinare la propria vita sul piano delle relazioni umane e interpersonali, con esiti a volte drammatici. A ben vedere, in fondo, questa forma non professionistica di medicalizzazione del corpo sano ci costringe a riflettere su una realtà ancora più inquietanti di quella che di solito emerge dalle cronache sportive, perché nessuno di noi dopandosi potrebbe battere un campione vero ma chiunque di noi potrebbe essere il protagonista di questi racconti e scoprire di aver messo in pericolo se stesso.

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